“[…] Dopo le prime esperienze musicali, entrò in scena DINO SARTI, cantante e capo orchestra che ha avuto un ruolo importante nel mio percorso artistico. Dino, che aveva sentito parlare bene di me nell’ambiente degli orchestrali, mi propose di seguirlo a Torino con un contratto di tre mesi. Così, passai da un ambiente tranquillo, quello di casa, a una realtà dai connotati ambigui e incerti: ero nel mondo del vizio e della lussuria, con grande dispiacere di mia madre. La cosa non mi turbava, anzi, mi incuriosiva e stimolava, sarebbe stata per me una prova importante di vita e avrei capito se sarei stato capace di vivere lontano dalla famiglia.
Di questa esperienza, che durò un paio di anni, ricordo alcune cose, una fra tutte la quantità enorme di uova che mangiavo tutti i giorni. Non che avessi una vita sessuale intensa, ma perché me lo consigliava mia madre in lacrime “tieniti su, se no diventi magro”; una delle tante raccomandazioni che mi arrivavano da lei quando le telefonavo al risveglio, verso le due del pomeriggio. Sì, perché suonavamo tutte le notti senza saltarne una, il night funzionava così ed era massacrante.
Ricordo l’ambiente scuro, poltroncine di velluto rosso, tende pesanti. Si suonavano in media novanta canzoni per notte, cominciando alle 22, si finiva alle cinque del mattino, se arrivava un ospite importante si arrivava tranquillamente a centoventi canzoni.
In quel periodo migliorai molto le mie abilità chitarristiche. Eravamo un quintetto: organo hammond, basso, chitarra, batteria e Dino Sarti alla voce. All’organo hammond c’era Cesare Migliardi che era un mostro di bravura, il pilastro del gruppo, personaggio misterioso, silenzioso e immobile, musicista e strumentista preparatissimo e oserei dire geniale. Bicchiere di Whisky e sigaretta, lui non perdeva mai la calma, tutto sotto controllo suonava qualsiasi cosa gli mettessero davanti. Sì perché una volta, nei night, arrivavano numeri di varietà da tutto il mondo e gli artisti si portavano dietro gli spartiti musicali che noi dovevamo leggere a prima vista.
Mentre il chitarrista, che in quel caso ero io, e il bassista qualche difficoltà oggettiva l’incontravano. Cesare ci trascinava nell’accompagnare i numeri senza problemi, perché lui era un vero fenomeno nell’imparare all’istante qualsiasi brano musicale, anche di estrema difficoltà.
Dino Sarti prediligeva il repertorio dei cantautori francesi, da Jacque Brel a C. Aznavour, G. Becaud, Y.Montand, Leo Ferrè. Fu certamente lui che mi trasmise la passione per questi mostri sacri, per questo mondo musicale tanto coinvolgente e profondo a cui hanno attinto poi un po’ tutti i nostri cantautori, famosi e non.
Nonostante le uova, però, il mio pallore era diventato direi vampiresco, così come la vita che ormai conducevo. I ritmi che dovevamo sostenere erano diventati davvero pesanti, tanto che la mia fidanzata Liana, che ogni tanto veniva a trovarmi con i miei genitori, un certo giorno mi pose davanti a questo dilemma: O ME O IL NIGHT. Dilemma facilmente risolvibile visto che speravo da un po’ di trovare una via di fuga, così mi preparai un bel discorsetto di circostanza: “Mi creda Sarti, questa è stata un’esperienza straordinaria, ma adesso sento il bisogno di lasciare. Non so bene cosa farò, ho le idee un po’ confuse, può darsi che incominci seriamente a fare il geometra oppure il compositore di canzoni, intanto mi sposo Liana e poi vedremo”.
Le idee le avevo chiare, me ne andai da quell’ambiente per tante ragioni: la prima è che se avessi continuato con quella vita non ne sarei uscito vivo – si fa per dire ovviamente – e poi avevo nostalgia di casa, di Bologna. Il motivo principale fu però che essendo una persona riflessiva e ragionevole, avevo capito che non provando una grande attrazione per lo studio del mio strumento, non sarei mai diventato un chitarrista bravissimo, cioè non sarei mai stato un George Benson o un Dodi Battaglia tanto per stare in Italia; volevo sì emergere nell’ambito musicale, ma non come strumentista, desideravo che la mia strada fosse lo scrivere canzoni, diventare un autore e questa convinzione diventava sempre ogni giorno più forte. Quando anche Dino, dopo alcuni anni, cessò di fare il cantante da night, aprimmo una collaborazione, io ogni tanto lo accompagnavo alla chitarra nelle sue performance teatrali, ma soprattutto cominciai a musicare i suoi testi.
Quando parli di Dino Sarti ti vengono al naso e alla mente il profumo della castagne sotti i portici d’inverno, il cicaleccio dialettale di VIA POLESE e SAN CARLINO, ma anche le nobili Via Orefici e Clavature, i dancing dove “quelli di Tango Imbezel non entreranno mai per manifesta inferiorità…”. Così raccontava Sarti nei suoi libri e poi l’elegantone Spomèti “le roi du tabarin” i “Biassanot” i nottanbuli, che gli hanno tenuto compagnia nel “nait” insegnandogli la filosofia e il tip-tap.
E poi l’avvenimento incredibile: i quarantamila di Piazza Maggiore il 14 agosto 1974 ad assistere al primo concerto di Dino. Quella è stata forse la prima manifestazione musicale con tale affluenza di pubblico rappresentata in una piazza cittadina. Ogni volta che penso a quella serata mi vengono i brividi…quanta emozione! Io con la mia chitarra e accanto a me il maestro Sergio Parisini, pure lui di Bologna, che ha accompagnato Dino al pianoforte in ogni spettacolo da lì in poi. Ho ancora nelle orecchie gli applausi della gente che a gran voce chiedeva la Fricci, il soprano dall’acuto facile che mandava in delirio i loggionisti al teatro Comunale. A quel punto Dino scende in mezzo a loro offrendo fette di cocomero invitandoli a cantare “I love you cucombra”.
Io, bolognese come lui, ho cercato di rivestire di note la poetica bellezza dei suoi testi, di volta in volta divertiti, profondi, sempre vicini alle piccole grandi verità della gente e non credo di esagerare accostando Dino Sarti al grande Alberto Sordi nell’avere saputo tanto bene raccontare la gente, per Dino quella di Bologna, così fotografata nei suoi racconti in musica.
Il tempo scorre veloce, sono passati molti anni e sembra ieri quando scrissi le musiche del primo LP di Dino, ho sentito forte il desiderio di riascoltare tutti i dischi e mi sono commosso nel ritrovare, perfettamente intatta, l’anima di Bologna e del suo straordinario cantore.
Hai amato davvero tanto la tua città e penso che anche Bologna ti debba qualcosa bravo DINO… CANTA Spometi, cuntanta la zaint! (Accontenta la gente)”
Grazie a Melody Castellari