La finestra della prigione
è un taglio di rasoio all’occhio,
una frattura a due campate
variabili secondo la stagione:
il cielo in alto,
(grigio pure quando azzurro),
la terra sotto,
in polvere che aspetta il vento.
Guardare è come non guardare,
perché il fuori
è strozzato manganello sulle sbarre,
un tempo a cerchio che svilisce.
Se tuttavia mi affaccio,
da qualche mese a questa parte,
è solo per il contadino
che ogni giorno,
puntolino d’anima indistinto,
infrange il niente del paesaggio,
seminandomi silenzio.
E, per un momento,
mi ricordo uomo.

– ALESSANDRO IZZI

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