– Ho provato ad attaccarla al seno, ma il latte non
vuol saperne di uscire, sono preoccupata
dottoressa, la mia bambina piange e ha fame.

– Uffa quante storie, le daremo latte in polvere e
mangerà.
Questa dottoressa non mi piace, risponde sempre
seccamente e non ammette repliche, per lei siamo tutti
numeri, invece, siamo esseri umani che hanno bisogno
di aiuto, dovrebbe darmi qualche pastiglia per farmi
venire il latte invece di cercare la soluzione più
sbrigativa, si sa che i bambini che allattano al seno
crescono più sani e non prendono facilmente le malattie.
E non mi piace questo ospedale, mi hanno messa in un
reparto pieno di vecchi invece di mettermi in un reparto
di maternità.
L’infermiera dice che non ci sono posti in maternità e
che devo stare qui, ma io ho paura per la mia bambina, i
vecchi sono pieni di malattie e Ginevra è così piccola e
fragile, potrebbe ammalarsi e Dio non voglia, anche
morire.
Nella stanza numero 5 c’è una donna che ha partorito
dieci giorni fa, la sua creatura è nata morta e lei è
impazzita, sta tutto il giorno seduta davanti alla finestra
e canta la ninna nanna alla sua bambina che in realtà è
una bambola; mi fa pena povera donna, vorrei aiutarla,
vorrei darle la mia Ginevra da cullare per un po’, ma ho
paura che la getti dalla finestra, è pazza, non si può mai
prevedere la reazione di una pazza, o magari potrebbe
anche rubarmela. non capisco perché la tengono qui,
dovrebbero metterla in un reparto psichiatrico.
Hanno detto che la situazione è complicata a causa di
un virus che ha colpito tutto il mondo; hanno dovuto
realizzare alla bene e meglio dei reparti di terapia
intensiva per i contagiati e così gli altri reparti sono
diventati caotici.
Guglielmo non viene da giorni, lasciano entrare solo in
casi disperati, cioè quando un ricoverato sta morendo,
per dargli l’ultimo saluto.
Guglielmo è mio marito, abbiamo cercato per anni di
avere un figlio, non arrivava, le abbiamo provate tutte,
lui ripeteva che mi amava e mi avrebbe amata sempre,
anche di più se non gli avessi dato un figlio, così mi
avrebbe avuta tutta per sé.
Poi, quando avevamo smesso di sperare, è arrivata lei,
la mia Ginevra, bella come un angelo, bionda come
Guglielmo, con gli occhi blu di mia madre e un neo,
vicino alle labbra come quello che aveva mio padre.
Me la avevano messa tra le braccia e lei si è attaccata
al seno voracemente.
All’improvviso ha smesso di mangiare e ho smesso di
mangiare anche io, non riesco a masticare la carne, ho
perso i denti, devo avere una malattia strana, per questo
mi hanno portata in questo ospedale, ma io voglio
cambiare, qui non mi curano, non mi fanno venire il
latte, non mi hanno rimesso i denti, quando chiedo che
facciano qualcosa mi rispondono che hanno casi più
gravi e non hanno tempo per me.
Devo telefonare a Guglielmo e dirgli che venga a
prendermi e mi porti da qualche altro dottore che risolva
la situazione, che diamine, siamo nel ventunesimo
secolo, cosa ci vuole per far venire il latte a una
puerpera?
Non è ammissibile che una donna giovane come me
possa avere problemi come quelli che ho io, serve un
centro per curare le malattie rare e non un ospedale che
sembra un ricovero per anziani.
È che debole come sono non riesco a ricordarmi il
numero di telefono di Guglielmo, ieri ci ho pensato per
tutto il giorno, ma niente da fare, non me lo ricordo,
devo rassegnarmi ad aspettare che gli permettano di
venire qui, purché non sia troppo tardi.
Guglielmo è forte, fortissimo, del resto non potrebbe
essere diversamente, ha solo trent’anni, è alto ed è
tanto bello.
Ci siamo innamorati che eravamo ragazzini, mi faceva
venire le farfalle nello stomaco e quando facevamo
l’amore toccavo il cielo con un dito, mi manca l’odore
della sua pelle, mi manca il suo sorriso, quando uscirò
di qui voglio fare l’amore per un giorno intero.
E voglio fare un altro bambino, un maschio, i maschi
piagnucolano di meno, sono giovane, ho tutto il tempo
che serve, posso farne anche due.
Questa mattina ho litigato con la dottoressa di turno, le
ho detto che se non sono in grado di trovare soluzioni,
io me ne vado, chiamo un taxi e mi faccio portare a casa
con Ginevra.
Lei è scoppiata a ridere e mi ha detto: In quale casa
vai? In che via? In che città?
Lì per lì non ho saputo rispondere, non mi ricordo dove
abito, ma probabilmente è per la mia debolezza,mi sono
arrabbiata e il sangue mi è andato alla testa, sentivo un
caldo atroce alle tempie, ecco, sì, è stato il nervoso che
mi ha scatenato a farmi dimenticare, ma appena mi
calmo sono certa che ricorderò dove abito e ricorderò
anche il numero di telefono di Guglielmo.
Dunque, c’è un giardino con delle ortensie bianche, il
recinto è dipinto di bianco, sul cancello c’è il numero 9,
la Via adesso non me la ricordo, ma domani, dopo che
avrò dormito e recuperato un po’ di forze sicuramente
me la ricorderò.
Avevo ragione, ero troppo stanca, stamattina mi sono
svegliata riposata, Ginevra ha dormito per tutta la notte
e non si è mai svegliata a piangere, adesso ricordo, la
Via si chiama Via SS. Apostoli, il paese ancora non me
lo ricordo, anche perché il cartello era scolorito e non si
leggevano che poche lettere.
Ginevra continua a non voler mangiare, ho suonato il
campanello ed è arrivata una infermiera nuova che non
ho mai visto: Buongiorno cara, come posso aiutarla?
Finalmente una persona gentile, indossa un camice
verde, ha i capelli lunghi e biondi, la voce è pacata e il
tono è dolce, porta una mascherina che le copre la
bocca e il naso e lascia scoperti gli occhi, che sono blu.
Ha gli stessi occhi della mia Ginevra e anche lo stesso
colore di capelli, forse di questa mi posso fidare.

– La mia bambina è diventata magra e piange tutto
il giorno, non vuole mangiare, se continua così mi
andrà via del tutto il latte, e non vuol mangiare
nemmeno il latte in polvere, mi aiuti, la prego.

– Stia tranquilla, adesso sono venuta per aiutarla a
lavarsi, poi cerchiamo di far mangiare la
piccolina.
Siamo andate nel bagno, abbiamo messo Ginevra su
una sedia e si è addormentata, l’infermiera gentile mi ha
spogliata e mi ha accompagnata dolcemente sotto la
doccia, l’acqua era tiepida e piacevole, quasi come le
carezze di Guglielmo.
Mi ha avvolta in un grande asciugamano caldo, poi,
dopo avermi asciugata mi ha messo una crema
profumata su tutto il corpo e un po’ di borotalco, il
profumo di borotalco mi ricorda il bagno che mi faceva
mia madre quando ero bambina in una grande tinozza
che riempiva con secchiate di acqua calda, il vapore
invadeva tutta la stanza.
Mi ha rivestita davanti allo specchio e mi sono vista, Dio
mio, il mio seno è avvizzito, ora capisco perché Ginevra
piange quando la attacco al seno, non ho più latte, e
cosa è accaduto ai miei capelli? Sono diventati grigi, è
proprio vero che quando si hanno troppi dispiaceri i
capelli si imbiancano.
Forse è una questione ereditaria, anche mia madre si è
incanutita quando era ancora giovane.
Come è possibile che i medici non si rendano conto che
queste cose non possono accadere a una donna di
trent’anni che ha appena partorito?
Ma adesso questa infermiera mi aiuterà, ne sono certa,
è tanto gentile, quando mi sorregge si sente che lo fa
con amore.

– Mi aiuti la prego, devo farmi tornare il latte per
sfamare la mia bambina, qui nessuno sembra
capire di cosa io abbia bisogno.

– Sì, tranquilla, ora sistemiamo tutto, le facciamo
mangiare una bella scodella di latte e polenta
come quella che mi dava mia madre quando non
volevo mangiare, vedrà che la sua bambina
mangerà.
E’ uscita, ed è tornata poco dopo con una grande
scodella, il profumo del latte caldo invadeva tutta la
stanza, ha preso in braccio la mia bambina e le ha dato
cucchiaiate di polenta inzuppata nel latte, la mia
piccolina ha mangiato tutto, ha smesso di piangere e si
è addormentata tra le sue braccia.

– Grazie, grazie, grazie, hai salvato la mia piccola e
hai salvato me, dimmi il tuo nome, quando verrà
Guglielmo devo dirgli il nome dell’angelo che ci
ha salvate.

– Mi chiamo Ginevra mamma.

– SABRINA TONIN

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