(dedicata a tutte le donne che lottano per la libertà di essere se stesse)
All’anagrafe m’iscrissero così, Adele
e il dubbio rimase in quella ‘e’ finale,
un segno nell’età acerba delle mele
che fu urlo già al fonte battesimale.
Pagai il dazio del fiocco rosa pastello
io che ho sangue e cuore d’un leone,
le bambole che mi pesavano a fardello,
il femmineo corpo a carnale prigione.
A scuola m’imposi il ruolo di bulletto
nella cricca delle compagne di ventura,
jeans lunghi, capelli stretti al berretto
in spregio a norme di costume e natura.
Ai maschi non stillavo sorrisi e baci
(mia madre m’assillava, ‘tu sei matta!‘
e io in replica ‘non mi capisci, taci!’)
i colletti a punta amavo, la cravatta!
E m’infiltravo fra i vociferi del paese,
i veleni per chi sfugge l’omologazione
di chi tradisce, però bazzica le chiese
bestemmia e ruba, ma con discrezione.
Fuggii in città per restar me stessa,
sorda all’abbaio dei cani ai pecoroni,
di troppi preti che cantavan messa
senza saper i salmi delle emozioni.
E ora vivo senza trucco come voglio,
col tacco basso e i bottoni a destra,
vesto i solchi di rughe con orgoglio
e quando a sera scaldo la minestra
sorrido al mondo falso che c’è fuori
…ai bravi mimi e ai consumati attori.
– FLAVIO PROVINI