Nella tua valigia
c’è il vento sul viso di quando cavalcavi la Guzzi rossa,
l’odore del grasso degli ingranaggi
la musica del motore che ripartiva
come fosse vita nuova.
C’è la trottola che creavi col tornio
e quel bambino che rideva quando la facevi ruotare.
C’è lo sguardo di quel prete che maledivi perché ti parlava dell’inferno
e al quale regalavi la miscela per il mosquito
perché andasse a predicare
che la bestemmia tante volte è un grido di dolore.
C’è la ritrosia nel lasciarti amare
il pudore nel mostrare i sentimenti
l’amarezza di non avere saputo dire.
Ci sono tutte le parole che sono rimaste da dire.
Sei partito troppo in fretta
senza aver pagato il biglietto
senza avere il dolore di invecchiare
senza potere essere indulgenti.
Non abbiamo potuto conoscerci da adulti
capire che la strada era già segnata
e non potevamo che arrenderci agli eventi.
Riapri la valigia, Padre.
Devo mettere la mia tardiva e pudica carezza
che ha solo sfiorato la tua pelle
mentre il cielo ti chiamava
e l’aria era greve per la resa.
Mesta come una preghiera
aspetta, nel silenzio della sera.
– GIULIANA MORO