In gabbia le stagioni gocciolano dal lavandino
e dai finestrini trasuda una chiarore obliquo
di luce tatuata sui bicipiti,
un fulgore salino accucciato tra le grondaie,
orfano di ogni orizzonte.
In carcere i destini sono trame
che giocano eterne partite a poker,
intrecciano storie che incrostano i muri
e franano sulle parole,
negli interstizi dei codici,
strisciano come vecchie streghe
sul pellame lucido delle poltrone degli avvocati
– sembrano stormi di corvi neri
sulle nostre coscienze infangate -.
In carcere la solitudine t’ingoia
e non resta che aggirarsi
come una bestia in un branco,
attendere la quota viva della devozione
nutrendo la colpa con la potenza della sopravvivenza.
In gabbia la notte è uno spicchio nero d’inchiostro
e la luna è un disegno urlato nell’anima,
da qualche cella un lungo abbaiare perfora il sonno,
con un nome sussurrato piano.
In cella siamo stretti come debiti mai estinti,
rate impagate, sofferenze ai margini dell’oblio;
I cortili nell’ora d’aria
hanno la forma quadrata di un ring,
ci stiamo come tanti frutti guasti,
un assedio vagante di anime
– mine –
materia oscura.

– ELISABETTA LIBERATORE

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